Galatina, Congedo, 1993
Interviste nel corso della presentazione del libro (Danilo Corazza intervista lo scrittore Gaetano Pampallona e l'autore Alfredo Romano)
Articolo a firma di Plinio Zenoni sul Corriere di Viterbo l'otto marzo 1993 dopo la presentazione del libro a Civita Castellana
Articolo a firma di Gaetano Pampallona, poeta e scrittore, apparso sul Corriere di Viterbo il 28 marzo 1993
Articolo redazionale apparso sul Corriere di Viterbo il 28 marzo 1993
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Recensione di Gaetano Pampallona su IL CRISTALLO, Rassegna di varia umanità, Bolzano, agosto 1993.
Con Salento tra mito e realtà (Galatina, Congedo Editore, 1993, pagg.126, L . 18.000.), Alfredo Romano , nato a Collemeto, una piccola frazione di Galatina in prov. di Lecce) incide tra il serio e il giocoso, nel ricco tessuto delle tradizioni popolari. E lo fa attraverso canti, poesie d'amore, di dispetto e di morte, monologhi, recitativi sacri e profani, favole, storie vere, aneddoti, racconti, particolari curiosi in margine ad eventi e personaggi memorabili, parabole, tutti in dialetto salentino con testo a fronte in lingua.
Romano è uno scrittore ed un poeta poliedrico; è anche un attento saggista che recentemente su «Il Ponte» ha pubblicato un interessante «Viaggio intorno a Cesare Pavese». Appena sedicenne emigrò in cerca di un qualsiasi lavoro pur di continuare e portare a termine i suoi studi letterari, a Civita Castellana, in quel di Viterbo, dove da anni dirigela locale Biblioteca Comunale.
È dalla sua memoria dunque, depositaria delle eccitate scoperte dell'adolescenza, che egli trae il nucleo più profondo del suo commosso reportage. La linfa delle ulteriori cognizioni confluisce dai suoi periodici ritorni a Collemeto dove indaga, interpreta, trascrive; e tuttavia certe collazioni e idonei riscontri gli sono possibili proprio a Civita Castellana perché ivi è una numerosa comunità di Salentini trasferitisi per la coltura del tabacco. La gente del luogo li chiama impropriamente «leccesi», un termine che si è caricato dell'odioso senso di non appartenenza, quando non di aperto «razzismo», specie presso gli individui che con il rifiuto delle diversità proiettano contenuti sostitutivi di loro oscure frustrazioni.
Ma il libro non si impegna che in misura parziale nel dramma dello sradicamento, dato che il ritorno alle radici, come l'autore scrive nell'Introduzione, è il movente di una ricerca culturale e linguistica tesa alla riprova di una identità collettiva che qui procede dalla civiltà greca da quella araba e normanna con tutte le coordinate dei valori e dei vizi. Un affresco immaginoso e raziocinante che rimanda, anche per le agili cadenze delle versificazioni, ai registri della poesia dialettale del cegliese Pietro Gatti, sublime in «A terra meje»: «terra col cuore mio rinchiuso / odiata con tutto l'amore di tutta l'anima».
Un simile contrasto di investimento amoroso e di distanza critica è presente infatti nel bel debutto lessicale di Romano che, fra tragedia e satira, mette in moto tutti gli elementi delle storie, delle fiabe, dei proverbi ecc., senza indulgere in giustificazioni di comodo allorquando le costumanze rozze o i fatti criminosi, pubblici e privati che siano, offendono etica e ragione.
Si veda il passaggio de «L'amore segreto» in cui un padre autoritario e retrivo, venuto a conoscenza dell'innamoramento della giovane figlia che sgobba tutto il giorno nei campi, la apostrofa: «Vieni qua, vieni che devo torcerti il collo, vieni qua, vieni che a tuo padre certe cose non s'hanno da fare. Che t'ho insegnato quando eri bambina? Che quando vedi un ragazzo devi girarti dall'altra parte... ti dirò io come dovrai sposarti e con chi, non uno che magari non ha una camicia... stasera nu ha 'mmancu ddurmire pe' le mazzate ca te tau...»
E però non manca l'ilare elegia dei sentimenti, tenuta con ritmo lento e melodico come: «Ma quanto mi piace il sonno la mattina / quando la mamma mi chiama per andare in campagna / se la fatica la chiamano zucca / o mamma mia bella come puzza / l'uccello quando pizzica il fico / la bocca se la sente zuccherata / è questo che prova una giovinetta / quando si bacia col fidanzato... io questa sera debbo rischiare / nelle fortezze greche devo entrare... la debbo stringere e baciare!...».
Un libro questo dello scrittore e poeta salentino che merita attenzione per la puntualità delle citazioni e l'impegno civile delle analisi che in modo eccellente si coniugano con lo struggimento di un animismo arcano e il colore di ammaliate voci.
Gaetano Pampallona ____________________________________________
Recensione su http://digilander.libero.it/freesurfer64/arte/arte/libri/mitoere/index.htm
di Giorgio Barba, insegnante, giornalista, di Lecce.
I salentini che sono costretti ad emigrare hanno difficoltà ad ambientarsi, perché le loro tradizioni sono così radicate che riesce difficile comprendere quelle altrui. Proprio per questo motivo il salentino si sente un pesce fuor d'acqua lontano dal suo paese e ha bisogno di riconoscersi e a volte di riscoprirsi in una comunità.
Articolo a firma di Gaetano Pampallona, poeta e scrittore, apparso sul Corriere di Viterbo il 28 marzo 1993
Articolo redazionale apparso sul Corriere di Viterbo il 28 marzo 1993
1993. I miei amici, senza farmelo sapere, se ne uscirono con un invito a sorpresa per la presentazione del mio libro "Salento tra mito e realtà".
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Recensione di Gaetano Pampallona su IL CRISTALLO, Rassegna di varia umanità, Bolzano, agosto 1993.
Con Salento tra mito e realtà (Galatina, Congedo Editore, 1993, pagg.
Romano è uno scrittore ed un poeta poliedrico; è anche un attento saggista che recentemente su «Il Ponte» ha pubblicato un interessante «Viaggio intorno a Cesare Pavese». Appena sedicenne emigrò in cerca di un qualsiasi lavoro pur di continuare e portare a termine i suoi studi letterari, a Civita Castellana, in quel di Viterbo, dove da anni dirige
È dalla sua memoria dunque, depositaria delle eccitate scoperte dell'adolescenza, che egli trae il nucleo più profondo del suo commosso reportage. La linfa delle ulteriori cognizioni confluisce dai suoi periodici ritorni a Collemeto dove indaga, interpreta, trascrive; e tuttavia certe collazioni e idonei riscontri gli sono possibili proprio a Civita Castellana perché ivi è una numerosa comunità di Salentini trasferitisi per la coltura del tabacco. La gente del luogo li chiama impropriamente «leccesi», un termine che si è caricato dell'odioso senso di non appartenenza, quando non di aperto «razzismo», specie presso gli individui che con il rifiuto delle diversità proiettano contenuti sostitutivi di loro oscure frustrazioni.
Ma il libro non si impegna che in misura parziale nel dramma dello sradicamento, dato che il ritorno alle radici, come l'autore scrive nell'Introduzione, è il movente di una ricerca culturale e linguistica tesa alla riprova di una identità collettiva che qui procede dalla civiltà greca da quella araba e normanna con tutte le coordinate dei valori e dei vizi. Un affresco immaginoso e raziocinante che rimanda, anche per le agili cadenze delle versificazioni, ai registri della poesia dialettale del cegliese Pietro Gatti, sublime in «A terra meje»: «terra col cuore mio rinchiuso / odiata con tutto l'amore di tutta l'anima».
Un simile contrasto di investimento amoroso e di distanza critica è presente infatti nel bel debutto lessicale di Romano che, fra tragedia e satira, mette in moto tutti gli elementi delle storie, delle fiabe, dei proverbi ecc., senza indulgere in giustificazioni di comodo allorquando le costumanze rozze o i fatti criminosi, pubblici e privati che siano, offendono etica e ragione.
Si veda il passaggio de «L'amore segreto» in cui un padre autoritario e retrivo, venuto a conoscenza dell'innamoramento della giovane figlia che sgobba tutto il giorno nei campi, la apostrofa: «Vieni qua, vieni che devo torcerti il collo, vieni qua, vieni che a tuo padre certe cose non s'hanno da fare. Che t'ho insegnato quando eri bambina? Che quando vedi un ragazzo devi girarti dall'altra parte... ti dirò io come dovrai sposarti e con chi, non uno che magari non ha una camicia... stasera nu ha 'mmancu ddurmire pe' le mazzate ca te tau...»
E però non manca l'ilare elegia dei sentimenti, tenuta con ritmo lento e melodico come: «Ma quanto mi piace il sonno la mattina / quando la mamma mi chiama per andare in campagna / se la fatica la chiamano zucca / o mamma mia bella come puzza / l'uccello quando pizzica il fico / la bocca se la sente zuccherata / è questo che prova una giovinetta / quando si bacia col fidanzato... io questa sera debbo rischiare / nelle fortezze greche devo entrare... la debbo stringere e baciare!...».
Un libro questo dello scrittore e poeta salentino che merita attenzione per la puntualità delle citazioni e l'impegno civile delle analisi che in modo eccellente si coniugano con lo struggimento di un animismo arcano e il colore di ammaliate voci.
di Giorgio Barba, insegnante, giornalista, di Lecce.
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