domenica 9 dicembre 2007

CANTAVAMO CONTESSA / testimonianze

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AUDIOLIBRO CANTAVAMO CONTESSA CON 24 CAPITOLI


Lecce, Manni, 1998


Raffaella Verdesca, autrice. 2012
Ho terminato 'Cantavamo Contessa' tra un impegno e l'altro. Ho bisogno di una mente lucida, reattiva, per potermi insinuare in ogni anfratto narrativo e scovare così un po' di roba utile da mettere da parte: un sentimento, qualche po' di poesia di valore, tracce di ideologie, di idee, e, se mi va bene, perfino l'autore! Questo pomeriggio ho terminato il mio bottino. Un viaggio in Grecia con gli occhi dei ragazzi del '68 ha una dinamica che potrebbe essere comune a quella di un viaggio in qualsiasi posto del mondo, fatto in quel periodo storico, a meno che nel gruppo non ci fosse un classicista come Alfredo Romano. Tu lo conosci? Da salentina edotta in educazione familiare ancestrale (quella che mi ha preceduta e poi tallonata), ho subito pensato al contrasto tra la famiglia di origine del nostro Aldo e la contaminazione ideologica, ormonale e politica che lo ha permeato. Ne sono rimaste fuori la sua cultura classica e i ricordi di gesti di casa e di persone care al cuore, i genitori.
Aldo è uno che ama l'amore, ne insegue il sogno, ma non lo concretizza in figure di riferimento reali. Sembra contraddittoria la mia affermazione leggendo della carnalità dell'approccio con Dora e della sensualità dei pensieri per Màlia, l'uccellino caduto nelle sue mani, la donna-bambina da proteggere e assaporare nel linguaggio malizioso dei corpi. Ma Aldo non sceglie, non sa davvero ciò che lo completerebbe placando in maniera gioiosa e armoniosa la sua metà. Si respira confusione nella mente dei protagonisti, non c'è una sola pulsione credibile, sia essa sentimentale che politica, ma piuttosto 'reale'. Si è comunisti perchè ci si ritrova nell'onda della rivoluzione dei costumi, della rivendicazione dei diritti e di una libertà che per molti si trasforma in mero libertinaggio. Le intenzioni sono sempre ottime, riecheggiano Che Guevara in pensieri e musica, ed è proprio questa con la sua chitarra a fare da trade union nei personaggi, da scintilla a certi loro amori e attrazioni,  da accompagnatrice in momenti di nostalgia e da solista in tante esplosioni di sensualità lirica. Aldo rappresenta la spensieratezza del turista al suo primo viaggio, oltre che del sessantottino, incarna la gioia di vivere e di scoprire una vita diversa da quella che ha visto e che gli hanno insegnato, una vita che gli consente di allungare le mani per prendere e di tenerle ferme per farsi scegliere. Tutto in comune. Lo spirito pronto del salentino ricama comicità, paradosso, sdrammatizzazione, intelligenza, lo spirito vivo dell'autore trasuda mito, poesia e malinconia. L'autore è salentino e quest'opera ne è il concentrato di creatività leggera e luminosa. Leggerti è stato fare questo viaggio, vedere questi splendidi posti, annusare i piatti tipici e l'umidità dell'estate. Non credo ci sia bisogno dell'invenzione della macchina del tempo e dello spazio: ci sei tu!
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Articolo apparso sul Corriere di Viterbo il 25 ott. 1998


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Giorgio Barba, giornalista
Lecce, 1998

Ambientato nell'agosto del 1975, il romanzo Cantavamo Contessa è l'ultima fatica letteraria di Alfredo Romano edito per i tipi della Piero Manni s.r.l. nel luglio del 1998. Un romanzo d'estate potrebbe definirsi, che si esaurisce nell'arco di un mese di vagabondaggio nella culla dei miti, la Grecia, ormai libera dalla dittatura dei colonnelli e invasa dalle truppe pacifiche e disinibite dei saccopelisti di tutta Europa.
Il libro si sviluppa come un diario scritto in prima persona dal protagonista Aldo, un giovane originario di Calimera residente a Castelnuovo, che, pur essendo un contestatore, è attratto dalla civiltà greca e mediterranea e affronta il viaggio a ritroso alla scoperta delle proprie radici. Le avventure del goliardico gruppo di amici di Aldo diventano l'emblema del desiderio di libertà non solo storica e culturale, ma anche sociale e morale. E in queste peripezie della comitiva nei labirinti fisici della Grecia tra calette solitarie e spiagge dorate di giorno e popolate di spiriti dormienti e ansimanti di notte, si agita il dio-demone dell'amore che tutto muove e cambia le stesse prospettive dell'esistenza, agitando la psiche tra l'incubo della passione che balena e si esaurisce in un colpo di fulmine, e il crepitio continuo e costante del fuoco dell'amore, che nasce dall'amicizia. Così sia la trasgressività giovanile al limite della morale comune, sia il fascino della terra degli dei e degli eroi dei nostri avi, costituiscono un'esperienza indimenticabile e, anche se la vita riserva altre sorprese e le strade dei saccopelisti si dividono, resta il ricordo delle avventure che si trasformano in miti, che si smarriscono nella bruma dei pensieri.
Il romanzo, scritto in un linguaggio giovanile e con un periodare fresco e scorrevole, presenta momenti di lirismo classicheggiante sia nel lessico che nella strutturazione della proposizione e ciò rende la lettura piacevole e disincantata da un lato, critica e attenta dall'altro.

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Adriano Cioci, scrittore
Bastia Umbra, luglio 1999

A metà degli anni Settanta l'inconsueto e il trasgressivo avevano un confine meno marcato, i limiti erano piuttosto sfumati e varcarne la soglia rappresentava, tutto sommato, navigare da un mare all'altro, dove le uniche differenze erano soltanto nel colore dell'acqua. Oggi, invece, l'inconsueto appare sempre più cibo quotidiano del quale il corpo ha bisogno, quasi come antidoto alle incertezze della vita. E l'essere trasgressivi, seppure affascini, acquisisce sempre più il senso del proibito.
Questo per dire che progettare un viaggio nella Grecia appena liberata dall'ingombrante presenza dei colonnelli, armarsi di zaino e sacco a pelo, dormire sotto le stesse stelle del ciclo di Zeus, in compagnia di un gruppo piuttosto eterogeneo e disseminare i propri sentimenti e le proprie intimità tra le campagne fustigate dal sole o sugli scogli rinfrancati dagli spruzzi d'acqua, poteva essere non soltanto insolito ma, appunto, trasgressivo. Forse erano anche quelli gli ideali da vivere, per vivere, quando ci si appaga dei vent'anni e si rincorrono con frenesia, vagabondando, i mari e i miti della Grecia. Ciò che Aldo e Malia cercano, insieme ad un grappolo di coetanei, sono, forse, più dì ogni altra cosa, i ritmi della vita, o meglio capire perché la propria vita è quella e non un'altra. Cercano evasioni, è vero, cercano dì animare le pagine dei classici studiati a memoria, di capirne le essenze, lì, dove i tramonti sanno, più di ogni altro posto, di polvere del tempo. Ed allora lo zaino in spalla, il sacco a pelo, il conto delle dracme che non basteranno per venti giorni da novelli Odisseo, diventano quasi cerimoniale per l'investitura a vagabondo, cioè l'unico modo per scoprire quella parte di se stessi che si vorrebbe vivere per sempre. E quello stesso cerimoniale - si accorgono, ma l'avevano sempre intuito - diventa la loro nave, la loro zattera, la loro moto sgangherata presa a noleggio. Un modo, o il modo, per circumnavigare l'Olimpo e tutti i suoi abitatori, dei e semidei, e sgomitolare un secondo filo d'Arianna, dove il districarsi nel labirinto, questa volta, non è imposto, ma soltanto scelto. Dall'isola dei Feaci, a Corinto, ad Atene, a Creta, cantando Contessa e Comandante Che Guevara, e aspettando l'alba lasciandosi tramortire dalla stanchezza.
Sin qui la storia di un granello di giovinezza che scolpisce, con momenti
irripetibili, un'intera esistenza. In quei momenti si innestano, da protagonìste, le passioni, suggestionate ancor più da aliti di vento mediterraneo che asciugano la pelle e lasciano inconfondibili aromi. Un'atmosfera propizia per la Dea dell'amore che, evocata quasi, dardeggia fremiti e sguardi ammiccanti, sui quali i protagonisti del viaggio nella terra di Fiatone non sanno resistere. E Aldo tra questi, ad intessere una tela che ha sempre due Iati simili ed opposti, quello di Malia, dagli occhi teneri e in cerca di una libertà che riesce a trovare solo ponendosi sotto le ali protettive dell'uomo e Dora, dagli occhi penetranti, anche in cerca di libertà che tenta, invano, di conquistare con il calore del proprio respiro e della propria sensualità. Così Aldo la notte sogna i lidi, di un'intimità che sa di corpi avviluppati e il giorno scopre che la serenità di uno sguardo può trasformare i sentimenti più inquieti in abbracci dolci e parole appena sussurrate.
Un romanzo, quello di Alfredo Romano, che travalica i canoni della storia raccontata e che si pone non soltanto come finestra sul passato, ricca di evocazione e di suggestione, ma che ha la forza di incidere anche sul futuro. Non soltanto perché riesce a trasferirvi la valigia dei ricordi, ma anche perché da quello stesso bagaglio, pronto ad aprirsi, sembra quasi sortire, ad ogni dove, un canto di nostalgia. Allora Contavamo Contessa non è soltanto l'errante consuetudine per chi decide dì partire, ma è, soprattutto, la percezione di aver concluso un patto con la memoria per chi decide di tornare. Su questo crogiolo di riflessioni, l'una contro l'altra, l'una per l'altra, il linguaggio si fa anch'esso memoria e diventa, persino, momento lirico quando il mito di ieri incontra l'irrequietezza e l'incertezza di oggi. Elementi che sembrano fondersi insieme e che alla fine trovano, appunto, un esito poetico. Dove la parola perde l'asprezza del suono e diventa incanto.

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Antonella Nelli, ricercatrice Beni Culturali
Civita Castellana, 1999


Cantavamo Contessa:
le pagine di un diario di viaggio pubblicato, anzi, reso pubblico, a vent'anni dalla scrittura. Pagine di ricordi, dunque, e dense, non potrebbe essere diversamente, di nostalgia. Nostalgia per una stagione, quella del '68, del maggio francese, che con i suoi ideali, le canzoni, le marce... già nel 1975 è diventata mito. Quella dell'emigrante, Aldo, che per arrivare al mito della Grecia - meta del viaggio - non può fare a meno di imbattersi, sulle coste Salentine, in quello della propria Calimera ("una terra madre che non mi dava più frutti"), abbandonata e certo mai sostituita da una nuova città, una nuova terra che nel tabacco procurava i frutti alla vita. Nostalgia per un viaggio fatto forse a vent'anni, per gli amici, i compagni di viaggio, gli amori... Malia. Nostalgia, infine, anche per una poesia che l'autore non riesce ad abbandonare e che si inserisce nella prosa del romanzo: in maniera più ovvia attraverso citazioni di poeti e canzoni, ma soprattutto e meno clamorosamente, nelle parole stesse che portano i ricordi. La Grecia, poi, offre l'occasione di fondere i ricordi personali, i 'miti' personali, con quelli classici: Odisseo, Dioniso - forse il più invocato - Ermes, i Corinti, Socrate...
Negli ultimi giorni di un viaggio costantemente accompagnato dal mito, che ormai è mito esso stesso, ci si interroga. "Ma allora, c'è proprio bisogno di miti? C'è bisogno di autoinganni in realtà? Sono autoinganni i miti, autoinganni necessari però. Non lo è forse il culto dei morti? La verità è che non ci rassegnamo alla caducità della vita e non facciamo che dare corpo a voci, a suoni, a immagini, a odori che, proprio perché trascorsi, o che verranno, inaffidabili quindi, diventano per forza oggetto di culto."
L'atmosfera dei sacchi a pelo, delle chitarre, gli autostop, le donne... non può che coinvolgere, attraverso i propri ricordi, chi quella stagione l'ha vissuta, chi, come Aldo, "Emiliano detto Bramo, Andrò detto Sturi, Cesco detto o' Trevisano, e poi Rino, e poi Nadia, e quegli sposi promessi di Paolo e Simona [...] e un napoletano verace che guarda caso si chiama Genanro", ha cantato Contessa. In chi quegli anni non ha potuto viverli può, forse, contribuire ad accrescerne il mito.


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Dante De Giorgi, ragioniere, uomo di studi
Civita Castellana, 1999
(2° premio per la migliore recensione al Concorso "Nuovi autori, nuovi recensori" della LIBER ARS, Via Piemonte, 1 di Leverano (LE). Cerimonia di premiazione: Otranto, Castello aragonese, 21 agosto 1999).
Ho comperato il libro alcuni mesi fa; per circa una settimana mi è rimasto in auto, sul sedile, a solleticarmi la fantasia sul suo contenuto. Una sera, verso le 21, ho cominciato a leggerlo e (soffocando in piena notte alcune risate divertite) ho terminato di leggerlo verso l'una.
Il titolo, accattivante e "datato" si rivolge ad un pubblico ben definito e prevedibile; unitamente alla copertina, soffusa di sottile erotismo e nostalgia, è un ottimo richiamo.
L'intreccio è scanzonato e ben tessuto; alcuni avvenimenti, alcune "attese" sono lasciati magistralmente in sospeso per spingere avanti la lettura. Dora e lo sviluppo della situazione è sicuramente il meglio riuscito.
Sessantottino? Sì. Ma anche presa in giro di esso, della sua sinistrosità necessaria, quasi obbligata, malgrado che altre pulsioni, altra cultura, altri aneliti già spingessero oltre; tenero nella descrizione di realtà ormai impensabili quale il contatto "pelle a pelle" senza sesso. Fors'anche Europeo; ma dell'europeismo rinascimentale o romantico, non di quello economico-bancario di oggi.
Ben dosato il mix di ricordi scolastici "colti" che diventa occasione di esaltazione, ironia e dissacrazione di miti e fissazioni storiche, politiche, ideologiche, familiari. Nostalgico sì, ma quanto basta ad esprimere, con allegro distacco ed ironia, il superamento di quel modo di vivere e pensare.
Lo stile risente della passione per i classici e per la musica dell'autore: in molte frasi, se non in intere pagine, si avverte chiaramente ritmo e musicalità di versi o di chitarra. Del resto questo strumento, e la donna di cui è il simulacro, è il vero protagonista del racconto sullo sfondo di un Mediterraneo solare.
Chi conosce l'autore saprà di certo individuare in trasparenza riferimenti autobiografici, ma il fatto che lui stesso "vive in un romanzo" lo ha facilitato a creare quella caratteristica atmosfera letteraria che permea un buon racconto rendendolo, sì verosimile, ma piacevolmente galleggiante su citazioni, miti, canzoni e ricordi di altri racconti: quelle cose, insomma, che al lettore piace scoprire come i canditi in una torta.
Sarei curioso di leggere il prossimo.


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Marianna Tumeo, bibliotecaria, artista
Civita Castellana, 1999


Se il mito avesse un profumo, saprebbe di iodio la sua essenza, di tamerici invadenti, di albe marine. E' questa l'impressione immediata che ho tratto sin dalle prime righe del libro di Alfredo Romano "Cantavamo Contessa".
Aldilà dei ricordi "sessantottini", delle nostalgie giovanili, è il mito che qui
la fa da padrone.
Non sono forse Ulisse e Afrodite i veri interpreti di questo piacevolissimo
diario di viaggio? Aldo, Màlia, Matteo, Dora, chi altri sono se non le loro perfette incarnazioni?
La libertà, l'amore, il viaggio in tutte le loro possibili combinazioni, sono il
simbolo di una generazione che oggi guarda a quegli anni con il rimpianto o il distacco dovuti, ognuno a suo modo, ma tutti con la consapevolezza di far parte ormai del mito essi stessi.
Leggerlo fa bene al cuore (può suonare banale come molte verità), ma non
posso che consigliarne caldamente la lettura a tutti: a quelli che cantavano Contessa, e a chi Contessa non l'ha mai cantata.
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Massimiliano Conti, giornalista
Civita Castellana, 1999


"In un mare così scuro sotto un cielo. In mezzo al mare. Non ci sono stato mai. Sono un ragazzo e se volete sono scappato di casa. Mia madre ha una gran paura del mare, ma Odisseo, sui banchi di scuola, il viaggio me lo consigliò caldamente."
Con un immediato richiamo al mito si apre "Cantavamo Contessa" di Alfredo Romano. E proprio di miti il libro tratta. Del mito classico, la Grecia, con la quale Romano sembra vivere un rapporto quasi ombelicale, e del mito moderno, gli anni '60-70, evocati fin dallo stesso titolo del romanzo.
In uno stile di grande suggestione, costantemente in bilico tra prosa e poesia, il romanzo è il diario di un viaggio in Grecia, intorno alla metà degli anni settanta, compiuto dall'autore insieme ad un gruppo di amici. L'atmosfera e gli ideali di quel periodo, lo spirito comunitario, i viaggi in autostop e sacco a pelo, le canzoni, rivivono nel libro, trasfigurate in una forma fantastica, dove la nostalgia per una stagione ormai conclusa si fonde con le immagini della mitologia greca, continuamente evocate a scandire il ritmo del racconto. "Cantavamo Contessa" è il romanzo tardo di una generazione che oggi non esiste più, una generazione che proprio in quegli anni usciva dal proprio guscio, ingenua forse, ma che sentiva impellente la necessità di incontrarsi, dello stare insieme.
Tema fondamentale del libro è la ricerca della donna. Un sottile erotismo, talvolta esplicito ma mai volgare, attraversa tutto il romanzo. La ricerca della donna si fa metafora della ricerca di se stessi, anche le donne finiscono per stagliarsi nel mito, simili a cariatidi dell’Eretteo, fisse con lo sguardo verso l'orizzonte lontano. Romano è invece Orfeo che, per essersi guardato indietro a guardare Euridice, la perde per sempre. E a far da sfondo alla narrazione il "fresco" mare di Grecia, "lavacro di noi poveri sudici... ruvida salsedine che raschia le impurità ridando sapore ai nostri lascivi assaggi segreti."
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LETTERA DELLO SCRITTORE GIORGIO MARIO BERGAMO


Mestre, 5 febbraio 2002
Carissimo Alfredo (Aldo) [1] Romano,
più avanti leggerò pure "Lu Nanni Orcu", ma intanto mi sono ritagliato le ore per assaporarmi tranquillo dapprima il "Viaggio intorno a Cesare Pavese", e. quindi: il tuo "Cantavamo Contessa" che mi ha davvero colpito per la scrittura e spesso fatto partecipe anche per l'acutezza dello scavo e delle deviazioni psicologiche ed esistenziali che ne sortiscono. Tu devi avere oltre 20 anni meno di me, ma come i cani… (perduti senza collare) hai saputo farti precocemente un tuo modo e un tuo mondo, arricchirti la vita proiettando fuori tutto quello che ti urge dentro. Del resto, basterebbe la tua Ricerca, con la complicità del Nuto [2] ("Sono io, il tuo Nuto" ha esclamato mia moglie commossa dopo aver letto attenta. E infatti lei è da sempre la mia "ninfa", almeno la mia speranza imitativa…).
Sono felice anch'io di averti scoperto così autentico e incisivo. Cito 3 colpi che mi sono segnato a pagina 33 (tolgo l'interrogativo): "La condizione dell'essere ricchi presuppone che altri muoiano di fame"; "… il ripetersi di un gioco marmocchio"; "E mi guidava affannata la testa e le mani a sprofondare nella carne olivastra."
Però sei anche un ipocrita: "Oh Màlia Màlia, dove sei Màlia? Perché non sei venuta a cercarmi?" Per fortuna, ti pescava con Dora e avrebbe dovuto confermare i suoi dubbi a Matteo? Ma ti perdono e proseguo per quello che annoti il 26 agosto: "Ma allora, c'è proprio bisogno di miti? C'è bisogno di autoinganni in realtà. Ecc. ecc." Ottimo. E spero che tu sia intimamente abbastanza contento di te. Saluti cordiali e con animo davvero grato. Tuo Giorgio Bergamo. [3]
[1] Aldo è il protagonista del romanzo "Cantavamo Contessa".
[2] Nuto è Pinolo Scaglione, protagonista della "Luna e i Falò" di Pavese, che Alfredo Romano incontra nel suo lungo racconto: "Le Langhe, il Nuto. Viaggio intorno a Cesare Pavese".
3] Giorgio Mario Bergamo ha pubblicato con Einaudi e Cappelli.
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TESTIMONIANZA di Sara Cherubini, di Viterbo, 17 anni, frequenta il liceo classico.
Si è imbattuta casualmente nel mio “Cantavamo Contessa” in una biblioteca del suo paese. Dopodiché ha voluto conoscermi e ha preso il treno per Civita Castellana (38 km). Dopo il nostro incontro nella mia biblioteca, ha voluto scrivermi una lettera (che riporto qui di seguito) per dirmi del suo approccio col mio libro. Francamente non mi aspettavo questa sorpresa a 9 anni dalla pubblicazione
Salve Alfredo Romano,
era metà maggio, quando, stanca di leggere libri imposti dai professori e delusa da ciò che avevo intorno, sono andata in biblioteca. Non avevo bisogno di niente, volevo solo fantasticare un po’ in mezzo a tutti quei libri e distaccarmi dalla realtà con la triste consapevolezza di non poter prendere un libro, dato il poco tempo che la scuola mi lasciava per leggere. Ero già pronta con il casco in testa per uscire, quando casualmente gettando gli occhi su uno scaffale ho visto un libro intitolato “Cantavamo Contessa”. A quel punto mi sono detta: Sarà la stessa Contessa che canto io quando ho voglia di protestare?!! Poi ho pensato: Sì, sarà quella, allora? E di nuovo: Sara, ma come allora? Allora manda al diavolo tutto e lascia spazio alla tua curiosità… cosa c’entra una canzone tanto rivoluzionaria in un libro? Chissà forse si parla di ragazzi che han vissuto quel famoso ’68, e anche io volevo esserci! L’unico modo per sapere però è leggerlo. E alla fine: Prendo questo libro dal titolo curioso, pur ignorando totalmente questo scrittore (quindi anche i suoi libri) e non avendo neanche un po’ di tempo per leggere. E questo è ciò che ha detto il bibliotecario: “Sara, Sara stavi per andartene e invece eccoti qui con casco in testa e libro in mano! Ok… Però non chiedermi nulla perché è un libro vecchio che non conosco.” Intorno alle undici di sera dello stesso giorno, mentre studiavo Archiloco ho pensato: Tu hai perso lo scudo e puoi fregartene… e io che ho perso la voglia di studiarti perché non posso fare lo stesso?! E così ho iniziato a leggere Cantavamo Contessa, non con pochi sensi di colpa per non aver studiato greco!
Le prime pagine non mi sono molto piaciute poiché non avevo abbandonato il mio libro di antologia-letteratura greca per leggerne un altro e poi c’erano nomi di gruppi che non conoscevo (Mama’s and Papa’s), ma sapevo che appartenevano a quel periodo non lontano dalla storia in cui non sarei voluta mancare… Andando avanti, mi sono sempre più infilata nei panni del protagonista, rendendomi conto che erano proprio della mia taglia!!... Ho capito che quel libro mi sarebbe piaciuto, perché per la prima volta dopo mesi sono riuscita a distaccarmi da quel mondo di pensieri abituali e infelici che puntualmente ti raggiungono prima di andare a dormire e soprattutto ormai ero entrata nel libro. Si erano fatte più o meno le due di notte quando insonnolita ho chiuso libro e occhi pensando a cosa fosse “Il vello d’oro” per me (l’ultima pagina letta infatti parlava proprio del vello d’oro).
In alcuni passi dove ci sono cenni a canzoni di protesta o a gruppi passati politici come Avanguardia operaia, ho immaginato quei momenti di fervore in cui un’intera generazione si batteva in piazza per le proprie idee, per la libertà e spesso ho fantasticato su cosa avrei fatto io se fossi stata presente, perché non nego che sono sempre stata affascinata dal ’68 e dalla sua gioventù che in un certo senso ha contribuito a cambiare il mondo.
La cosa che più mi è piaciuta, però, è l’aver fatto convivere pacificamente nelle Sue parole tante e diverse cose che io adoro, a partire dai versi formulari antichissimi di Omero a Guccini o De Andrè, dagli Dei dell’Olimpo a l’unico Dio del paradiso, dai miti greci e antichi a quelli moderni.
Nel suo libro ho trovato il mio percorso di studi e non può immaginare quanto è stato bello capire attraverso il suo viaggio che quel passato tanto lontano può in realtà rivivere ogni giorno e con un po’ di fantasia ne possiamo tranquillamente essere i protagonisti.
Nei passi più sentimentali, lo ammetto, ho provato un pizzico di invidia perché l’amore di cui si parla è poesia, canzone, sogno, atto concreto, purezza, peccato…è amore nel suo significato più nobile… E invece, a volte mi capita di pensare che il massimo a cui oggi si possa aspirare in amore è un banale murales, copiato magari anche da un film come ad esempio la scritta “Io e te tre metri sopra il cielo” divenuta ormai prototipo di ogni atto d’amore. Comunque vada ci sono alcune frasi del Suo libro a cui ora mi piace pensare quando rifletto sul significato dell’amore, che mai capirò per bene!
Il Suo libro vive e non smetterà mai di farlo e inevitabilmente mi capiterà di riaprirlo, credo infatti che ogni pagina, in momenti diversi della vita, possa assumere nuovi significati.
Scusi la lunghezza e il tempo sottratto, ma volevo dirLe tutto! Sono sicura e spero che non mi leggerà come censore, perché ho dato più spazio ai pensieri che alla forma e non mi offenderò se non sono stata chiara in qualche cosa.
Io preferisco le vecchie lettere alle nuove e-mail, quelle scritte a mano e custodite chissà dove e quindi sarei felice se stampasse queste parole!
Buone vacanze.
Sara Cherubini
Viterbo, 12 luglio 2007

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