giovedì 29 novembre 2007

POESIE INEDITE



EPITAFFIO



(Trovato sulla copertina del mio assemblato
manuale di spartiti. Scritto chissà quando.)

Alfredo Romano
nato a Collemeto di Galatina
3 marzo millenovecentoquarantanove
6 dichiarato causa neve forza nove
leccese emigrato in quel di Civita Castellana
giugno millenovecentosessantacinque
esercitando anzi il tabaccaro
poscia bibliotecar(i)o
per invano i civitonici istruir
morir di fama anziché
con queste eterne canzon
(dis)annoiava se stesso
(dis)accorava gli amici
mentre a udir si prestavano
canzoni sue e non sue
alfin soltanto sue
tale il modo
l’inventar
l’atteggiar
modular
strumentar che facea
moroso
della voce amena
e il sorprendere
il sedurre
sì che le donne
in specie profferivan:
Colei beata
che il respir ne coglie
e l’amor:
a noi sol le note
ne prescrisse il fato


Civita Castellana, 1979?




MA PERCHE'


(Testo per una musica del
mio amico Giuseppe Maniglio)

Prendimi una notte ancora
nel tuo letto d'illuisioni
di giochi
pudori
non ti chiedo di sposarmi
forse neppure d'amarmi
però non so
come può il vento
spazzar l'amore all'improvviso
anche la nebbia
sull'ultimo sorriso
ma perché
ecco sì
volevo fare di te
una donna
regina d'un regno lontano
di sogni perduti e ribelli
d'eroi tristi ma belli
ma perché.
Miti raggi alla finestra
dolce sento una carezza
amor
amor
non c'è neppure un amico
proprio un romanzo finito
però non so
come il tuo viso
mi brucia ancora tra le mani
e canto con te
l'amore di domani
ma perché
è vero che
io sono un uomo lo so
che ti ama
ma non sa vivere ormai
non ho che da darti le pene
d'un bimbo che ti vuol bene
ma perché.


Civita Castellana, ottobre 1983


MAGGIO IN PROVA DI SONETTO

Ecco maggio s'indora il sol sui muri
e le selvagge rampicanti rose
s'avanzan negli anfratti simil spose
timide tra rovi e fichi impuri.


Cinguettan nidi d'uccellin futuri
bachi sementi grano e picciol cose
imbeccan lor le memme premurose
nei pertugi sicur dei vecchi muri:


Allietan il frastuon i gai micini
frugan ognor il sen di gatte estrose
coccole fusa e baci fino a sera.


Fendon l'aere azzurro i rondinini
si libran le farfalle più festose
mi coglie amor: so già ch'è primavera.



Civita Castellana, 20 maggio 1990


GARD DE LYON

Parigi-Roma
ier sera ho perso il treno
ce l'avevo messa tutta
ero pronto dal mattino
ho implorato taxi
sfidato pioggia
semafori ingorghi
sciatiche e dolori
la valigia quasi Atlante...
Non ce l'ho fatta per soli tre minuti.
Forse qualcuno non vuol che torni.
Forse qualcuna.
Neanch'io vorrei tornare.
Così il cielo ieri mi dava giusto una mano.


Parigi, maggio 1991


PASSI T’ATTENDONO SEMPRE

A Loredana

Passi t’attendono sempre
ai bruniti lampioni di sera
sfavillan gli occhioni
tuoi belli che sole non fece
due lune piuttosto
lontane
strali mai visti d’amore.


1994


NEL GIARDINO DI PAPÀ
A mia madre

Nel giardino di papà
sogno dei copiosi frutti
il tuo amor ritrovato
che rimpianto mamma
parole ci insegnasti
più grandi di te
gesti e pensieri
donare senza pretese
soffrire senza mai dire
domani fra le tue albe
svegli di già
le belle tue albe
che più non sanno
di cupi tramonti


Collemeto, 10/10/1994
(tre giorni dopo, per il ricordino funebre)


LA MONETA ROMANA
(In regalo a Loredana in sposa a James di Londra)

Ti porta voci
la moneta romana
umori di tua terra feconda
rumori di secoli
tepori di ataviche mani
lavorate di Storia.


Ti porta l’amore sazio
la moneta romana
nello scambio del pane
Costantino diarca
d’appuntarsi felice
ora sul tuo
bel corpo di donna
in fuoco di passioni
gioie dai tempi remoti
fortuna al di là dei confini
il Re che cercavi da sempre


Civita Castellana, 28/5/1996


BALLATA DEL TEMPO CHE CANTAVO


Cantavo un tempo
sui sagrati delle chiese
lunghe veglie di pace
rivoluzione un sol paese
l’ira sfidando forse invidia
dell’Io che m’alzo presto
bigotte per non dire
bempensanti non s’intona
il Credo Tantum ergo
col Sol dell’Avvenire.



Cantavo non gradito
fin dentro le caserme
avanti il gran partito
ci piacciono le bande
i Tupa delle Ande
giocare con la guerra
su questa bella terra
lasciatemi gridare
è proprio una viltà
un compagno non ci sta.


Cantavo più accorato
sulle spiagge innamorato
di notte al chiar di luna
lambito dalla schiuma
dell’onda di battigia
le fiamme d’un falò
girotondo perché no
di pazze belle donne
di quelle del ti amo
sono certa ma non so.


Cantavo delle voglie
accese in una sera
gli sguardi un po’ coglioni
nei lampi dei tizzoni
botti strambotti e ritornelli
cantavo il grande amore
come in tele d’acquerelli
ritmi pizziche e tamburi
danzavo alle tarante
come in certi giorni scuri.


Cantavo per serate
intonate all’allegria
le feste degli amici
parenti e chicchessia
giullare aedo e festaiolo
a richiesta nel ruolo di Cupido
per la coppia che all’angolo tubava
dài buffone un’ultima canzone
bevi c’è del vino
fallo per l’amore.


Or più spesso canto ormai
per passi d’una donna
che mi s’affaccenda accanto
un motivo la solita canzone
lo spartito sempre più sdrucito
la chitarra senza più gazzarra
quand’ecco all’improvviso
il mare s’accorda con re sesta
fa sol
con amara terra mia
in mezzo al blu la casa di Maria...


Un brivido mi corre
per la schiena
leggera una breve
commozione
un caro finalmente
dolce pianto
e tutto senza un grammo
di finzione
per grazia che all’uso delle quinte
davvero non mi serve far l’attore.


Itaca, luglio 1996


L’ALBA

Mi hai sorpreso all’alba
in fremiti di mani
poi il brusco risveglio
in un frastuono di uccelli
il canto dell’usignuolo
il grido dell’upupa nella notte
sono ricordi lontani.


Oggi m’attende il sole più caldo
i baci mi stanano il cuore
uno cento mille
la tua bocca ha sapore di pesca.


Canterò tutta la notte
voglio gli uccelli sul tetto
tutti
come farei senza l’upupa triste?
Sei la notte sei il giorno
ti ho nel sangue da sempre.


Peloponneso, 1997


RISTORANTE MALVASIA


Al ristorante Malvasia
uno chef un po’ distratto
m’allunga tutti i giorni
s’un piatto bianco ovale
un’amante non c’è male.



In posa da odalisca
i seni in bella vista
mi lancia un tal sorriso
sì raro sì esplosivo
che in sella ad una scheggia
dico: se questa non è reggia!


Sogno oppur son desto
hai degli occhi mia regina
d’una sclera così bianca
che ti splende la pupilla
con un fare da bambina.


Trepida la mia mano
s’accosta sul tuo viso
a sfiorar due labbra rosse
di che porta paradiso
mosse schiuse nella brama.


Ben cotta la tua pelle
rosata quanto basta
odora di che femmina
profuma che è uno schianto.


Lo sguardo corre al pube
oh rosa nel bicchiere
pud
ìca la tua mano
nasconde qual mistero
l’amore si fa dolce
l’amore si fa piano.


La mia bocca sui tuoi lobi
è l’inizio di una danza
di sussurri e di parole
di gemiti e sospiri
di note del profondo
chissà di quale mondo.


Si vena la tua gota
di giubilo e languore
or pallida t’infiammi
felice t’abbandoni
la chioma ti scomponi.


Umida sei tutta pazza pazza
eccolo! urlo approdo di animale
scagliati in un mare di turgore...
ma io son qui che piango
non piango che d’amore.


Peloponneso, 1997

ELENA

S’attarda la luna stasera
levarsi sul mare di Grecia
lento incamminarmi su ciottoli
che a riva sull’onda scagliati
i miei gemiti increspano d’amore.


E t’invoco, Elena, tristi
ho presagi nel cuore
e grido e t’imploro
ché m’oda lassù per dirupi
la cara mia bella Afrodite
corri Elena! Elena! Io
un mazzetto ho da porti di macchia
d’iperico dai bei fiori gialli
unguento per malanni d’amore
a Cìpride d’olezzo graditi
dea che dispensa la brama...


Coglila! E’ meglio d’ambrosia
e salta sul primo naviglio
furtiva avanti il chiaro di luna.
Elena ti chiami
da sposo fuggiasca
regale di stirpe
audace guerriero
ma t’inseguono figli
passerotti lo so...


Non ho artigli ben io
a difesa d’un nido?
E son buffo e ti canto
sarà festa ogni sera
e ti salto e ti danzo
e ti mangio e ti bevo
e bottiglie ti stappo
per un’unica cena
allorché t’amo t’amo
mia gioia mia pena.


Dopo Sparta, in riva all'Egeo, luglio 1997


IL TUO SGUARDO NELL’AMORE

Il tuo sguardo nell’amore
è l’affresco mai trovato
di una pizia posseduta
già descritto in vecchie carte
nascosto in un giardino
d’una villa dei misteri.


Il tuo sguardo nell’amore
è la mappa di un tesoro
che da secoli per mari
rotola sull’onde
in vista d’un veliero
un pirata ormai alla fine

l’affidò dalla Tortuga
a un piacere di bottiglia
una volta di gran rhum.


Il tuo sguardo nell’amore
l’ho scoperto a notte alta
confuso tra le note
di cento e più spartiti
due occhi come crome
mi danzavano davanti
tutta l’anima a rapirmi
e i sensi tutti quanti.


Il tuo sguardo nell’amore...
io che cerco il bello ovunque
non mi viene un paragone
col tuo sguardo
il tuo sguardo nell’amore


Mare Itaca, luglio 1997


ASPETTA


A Dante, amico mio e poeta,
che il 30 gennaio 2000
ha voluto dare il suo addio alla vita
e... neanche un saluto, un saluto almeno.


Aspetta,
t'ho visto salire sul carro della notte

briciole di sogni avevo in serbo per te

per tracciarti, amico, la via del ritorno

il tuo sguardo… volta il tuo sguardo

bagliori mai visti fendono il tramonto

oh sì, ti valeva per bearti d'immenso

tu che sapevi imbrigliare la luce

e regalarla a tutti in un pugno di versi.



Aspetta,
ti sei svegliato sul ciglio del burrone

la linea d'ombra, ecco, volevi misurarti…

ma ora la mano, tendimi la mano

scuoti la terra in grida accorate

urla al vento il tuo bisogno d'amore

piangevano, sì, anche gli eroi

Ulisse perfino la donna implorando

su rive lontane in lai disperati.



Aspetta,
ci attendono ancora passi a far notte

tra i verdi filari del nostro tabacco

d'amori a ragionar, di vino e poeti

di belle canzoni che cambiavano il mondo

di terre infeconde che fiaccavan la schiena

del sudore dei padri che assolava le facce

di olio e di sale su un pezzo di pane

che bastava, magari, per capire la vita.



Civita Castellana, 14 febbraio 2000



PRIMAVERA

Attendo nella notte attendo
dileguarsi nell’orrido
il verso dell’ultima civetta
presagio di morte non più
da quando primavera
in bagliori rosa si svela
dal bel monte oraziano[1]
nell’aria di fresca rugiada.


M’avvio sul presto mattino
nel via vai d’ignari passanti
tra fasci di dardi in raggiera
tra gemme di lento germoglio
e mi prende ogni volta tremulo
quell’inquieto moto dell’anima
per la donna dagli occhi lucenti
che m’agita il sonno e la veglia
in desideri di strette e di baci
tenerezze in carezze di carne
in amplessi di gemiti e sospiri.


Sono incauti flutti di sangue
queste gemme d’amore sul corpo.
Non s’ingemma la quercia secolare?
Non insegue il rondone la compagna?
Mi viene nel dolce abbandono
rapirla da miei foschi pirati
prigioniera sulla nave all’attracco
e spinti sull’oceano al largo
invocherò la clemente Afrodite
che caparbia
m’indusse
nella brama.

[1] Il Monte Soratte sulla Flaminia, a pochi km da Civita Castellana.
Civita Castellana, 15 aprile 2005
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LE QUESTIONI CON CLAUDIO CAVALLIERI di Calcara di Crespellano

La poesia scherzosa che segue nasce invece da una disputa tra me e l'amico Claudio Cavallieri, un emiliano di Crespellano. Successe che Maria Fabiani, sorella di Mina, la mia compagna, una volta (si stava in gita a Ravenna) ci offrì un torrone fatto di nocciole e cioccolato, ma lui disse che no, che non si poteva chiamare torrone, ma solo barra di cioccolato e che solo i centro meridionali erano adusi a chiamarlo tale: torrone, insomma, per lui era solo quello bianco. Inutilmente gli sfoderai vocabolari e la Treccani perfino, Claudio non si mosse dalla sua posizione. Sicché gli mandai questo scherzo in versi.


CON TORRONE E CIOCCOLATA SI FA LA MARMELLATA



Caro Claudio, vorrei dire del mio stivale
chi ti scrive è un centro meridionale
che scherzosa t'invola una rampogna
di quelle che occorron alla bisogna.

Co' 'sta storia di torroni e torroncelli
ti fa gioco darci nei fondelli
se è vero che manco la Treccani
ti fa ragionar, vorremmo, a quattro mani.

E' che non hai capito la questione
non si tratta di fattura del torrone
questa resta e niuno te la tocca
a scanso d'indignar palato e bocca.

E' la lingua sol da scomodare
da che mondo è mondo sempre in alto mare
il popolo tu 'l sai fa spesso piroette
anzi un poeta disse alle colline che son tette.

Se nell'uso entra il "torrone al cioccolato"
sarà distorto, ma va per legge registrato.
In origine, certo, fu la forma della stecca
a decretare del torrone la disdetta.
Si disse: 'sto torrone è poco coccolato
facciamone uno al cioccolato.

Ti fa torto dir poi: la Treccani non si aggiorna
vuol dir che l'uso è da anni che si sforna
perfin sulle riviste del tuo caro nord
si scrive: torrone al cioccolato solo per i Lords.

Claudio, che fai: t'arrendi o t'infilzo?
ma già ti sento dir: ueh, ciuco, ché son smilzo?
già dalla Maria salivi sugli specchi
fichi e mandorletti come fosser robivecchi.

Riverisco però la tua difesa a oltranza
ché di fantasia ne sforni in abbondanza
l'intelligenza più l'ostinazione
è un bel gioco che ti fa onore.

Ma allora qua la mano, ammetti d'aver torto
fallo in allegria e la cosa è bell'in porto
e non aver paura: non sono Maramaldo
mi chiamo pur Alfredo, ma per rima faccio Aldo.

Ravenna 08/01/2000

Alfredo Romano

Avevo sostenuto che nell'opera di Mozart solo il Flauto magico fosse stato scritto in lingua tedesca. Mi sbagliavo e così Claudio mi canzonò in versi. E qui la mia risposta.

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