Lezione di Alfredo Romano:
La mia esperienza nella Biblioteca di Civita Castellana
(Lezione tenuta all'Università della Tuscia di Viterbo il 14 aprile 2005 durante il Corso di formazione per i bibliotecari della Provincia di Viterbo. Tema: Dal pennino all'OPAC [*])
Biblioteche nei secoli
Fino al 1970 a Civita Castellana non c’era ancora una biblioteca. C’erano state di biblioteche nei secoli passati: nel '500, al tempo di Carlo V, c’era una che era definita addirittura aurea. Ma questa e altre, non ebbero fortuna. Il motivo è che Civita Castellana si trovava su una via di passaggio, la Flaminia , dove transitavano lanzichenecchi, spagnoli e francesi, per andare a saccheggiare Roma. E anche Civita ne faceva le spese, all’andata, ma specie al ritorno, nel caso i soldati non fossero rimasti soddisfatti del bottino romano.
Con l’avvento dell’Italia unita e della ventata laica di Cavour, quando i beni documentali dei conventi furono trasferiti ai Comuni, anche Civita Castellana ne beneficiò. Ma la conseguenza fu che tante opere di pregio e, perfino incunaboli, furono lasciate ammuffire in qualche scantinato per molti decenni, fino a quando qualche uomo di buona volontà, negli anni 20 del secolo scorso, non decise che quelle opere andavano recuperate e furono portate tutte all’Abbazia di Farfa per un doveroso e pietoso restauro. Ma chi governava allora la città non si fece scrupolo di redigere almeno un inventario di quei documenti, che così furono perduti per sempre. In parte restarono a Farfa, in parte finirono all’Archivio di Stato.
Con l’avvento dell’Italia unita e della ventata laica di Cavour, quando i beni documentali dei conventi furono trasferiti ai Comuni, anche Civita Castellana ne beneficiò. Ma la conseguenza fu che tante opere di pregio e, perfino incunaboli, furono lasciate ammuffire in qualche scantinato per molti decenni, fino a quando qualche uomo di buona volontà, negli anni 20 del secolo scorso, non decise che quelle opere andavano recuperate e furono portate tutte all’Abbazia di Farfa per un doveroso e pietoso restauro. Ma chi governava allora la città non si fece scrupolo di redigere almeno un inventario di quei documenti, che così furono perduti per sempre. In parte restarono a Farfa, in parte finirono all’Archivio di Stato.
Sessantotto e idea di biblioteca
Ma fu nel 1968, con le rivolte giovanili dove si chiedeva una concezione nuova del mondo e della vita, specie in campo culturale, che a Civita Castellana si fece strada l’idea di istituire una biblioteca. A invocarla fu l’allora Movimento giovanile di cui facevo parte. Una città di 16 mila abitanti, la più popolosa del viterbese e a forte vocazione industriale, non poteva esimersi dall’istituire una biblioteca. Questa doveva venire incontro soprattutto a quei figli di operai e contadini che fino allora erano stati esclusi dal diritto allo studio fino all’università; ma venire incontro anche alla formazione di tutti i cittadini, grandi e piccoli, uomini e donne. Si diceva allora: Se il padrone conosce 1000 parole e l’operaio 100, quest’ultimo viene fregato. Cultura quindi come coscienza dei propri doveri, ma anche dei propri diritti sanciti dalla Costituzione.
Istituzione / Apertura
La biblioteca fu istituita con delibera comunale nel 1969. Ma fu nella primavera del 1970 che trovò una sistemazione in un seminterrato del palazzo comunale: due stanzette con l’Enciclopedia Treccani, un’enciclopedia inglese, e la collana di letteratura della BUR con copertina rossa. Fu certamente con uno strano criterio che il Sindaco acquistò i primi libri: era in ogni caso l’inizio di una biblioteca.
Ad aprirla al pubblico tre pomeriggi la settimana, fu chiamato, come volontario proprio uno del Movimento giovanile: il mio amico Giampietro Cacchioli. A dire: Voi avete voluto la biblioteca e voi ve la gestite. Il mio amico naturalmente era uno dei tanti disoccupati che alcuni mesi dopo avrebbe vinto un concorso per capostazione. “Ci vuoi stare tu?” mi chiese prima di andar via. Io, che gli avevo fatto compagnia in biblioteca tanti pomeriggi d’estate, accettai. Avevo 21 anni, ero iscritto all’Università, davo una mano ai miei nella lavorazione del tabacco e, trascorrere tre pomeriggi la settimana in biblioteca non mi dispiaceva per niente, non solo perché di libri mi nutrivo, ma anche perché immaginavo la biblioteca come una finestra sul mondo, un mondo di possibili incontri, amicizie, iniziative che mi avrebbero giovato.
Ad aprirla al pubblico tre pomeriggi la settimana, fu chiamato, come volontario proprio uno del Movimento giovanile: il mio amico Giampietro Cacchioli. A dire: Voi avete voluto la biblioteca e voi ve la gestite. Il mio amico naturalmente era uno dei tanti disoccupati che alcuni mesi dopo avrebbe vinto un concorso per capostazione. “Ci vuoi stare tu?” mi chiese prima di andar via. Io, che gli avevo fatto compagnia in biblioteca tanti pomeriggi d’estate, accettai. Avevo 21 anni, ero iscritto all’Università, davo una mano ai miei nella lavorazione del tabacco e, trascorrere tre pomeriggi la settimana in biblioteca non mi dispiaceva per niente, non solo perché di libri mi nutrivo, ma anche perché immaginavo la biblioteca come una finestra sul mondo, un mondo di possibili incontri, amicizie, iniziative che mi avrebbero giovato.
Incarico / Libri scarsi / Ambasciata Vietnam
Nella delibera di incarico per tre mesi, a cominciare dal 1° novembre 1970, invece che Alfredo Romano, c’era scritto Antonio Romano. Ma contava poco, Alfredo o Antonio era la stessa cosa: 20 mila lire il mese e niente contributi, e così per due anni. Mi sono stati riconosciuti adesso, in verità, dopo 34 anni, ma hanno dovuto produrre una dichiarazione di errore per quella prima delibera di incarico.
La prima cosa che mi venne in mente, vista la scarsità di libri, fu quella di scrivere a Roma a tutte le ambasciate del mondo. Mi arrivarono svariati pacchi, la più generosa fu quella americana con tanti libri di narrativa. L’ambasciata di Francia e quella dell’Urss, addirittura, mi abbonarono alle loro riviste. Ma un contatto speciale lo ebbi con l’ambasciata del Vietnam. Mi venne l’idea di organizzare una mostra di foto sulla guerra del Vietnam. Allora non c’era ancora la burocrazia che c’è adesso: mi bastò andare dal sindaco e chiedere la macchina del Comune per recarmi all’ambasciata del Vietnam, che dopo due ore ero già all’ambasciata. All’ingresso dissi che ero il bibliotecario di Civita Castellana e che avevo bisogno di fotografie per una mostra sulla guerra del Vietnam. Il portiere mi guardò un po’ perplesso, ma mi condusse da un funzionario al quale ripetei la richiesta. Fui fatto accomodare in un salotto e di lì a poco arrivò un altro funzionario con l’ambasciatore. Spiegai con così tanta passione la mia richiesta di foto per una mostra sulla guerra, che l’ambasciatore rimase commosso. Anzi si alzò e tornò con un anello in regalo per me. “Questo anello di alluminio è stato costruito con un B52 degli americani che abbiamo abbattuto” mi disse. Ero commosso anch'io. Mi diedero un pacco con un centinaio di foto in bianco e nero, che naturalmente avrei dovuto restituire. La cosa più strana, al ricordo, è che non mi chiesero neanche un documento. Era forse bastata la mia faccia così ingenua?
La prima cosa che mi venne in mente, vista la scarsità di libri, fu quella di scrivere a Roma a tutte le ambasciate del mondo. Mi arrivarono svariati pacchi, la più generosa fu quella americana con tanti libri di narrativa. L’ambasciata di Francia e quella dell’Urss, addirittura, mi abbonarono alle loro riviste. Ma un contatto speciale lo ebbi con l’ambasciata del Vietnam. Mi venne l’idea di organizzare una mostra di foto sulla guerra del Vietnam. Allora non c’era ancora la burocrazia che c’è adesso: mi bastò andare dal sindaco e chiedere la macchina del Comune per recarmi all’ambasciata del Vietnam, che dopo due ore ero già all’ambasciata. All’ingresso dissi che ero il bibliotecario di Civita Castellana e che avevo bisogno di fotografie per una mostra sulla guerra del Vietnam. Il portiere mi guardò un po’ perplesso, ma mi condusse da un funzionario al quale ripetei la richiesta. Fui fatto accomodare in un salotto e di lì a poco arrivò un altro funzionario con l’ambasciatore. Spiegai con così tanta passione la mia richiesta di foto per una mostra sulla guerra, che l’ambasciatore rimase commosso. Anzi si alzò e tornò con un anello in regalo per me. “Questo anello di alluminio è stato costruito con un B52 degli americani che abbiamo abbattuto” mi disse. Ero commosso anch'io. Mi diedero un pacco con un centinaio di foto in bianco e nero, che naturalmente avrei dovuto restituire. La cosa più strana, al ricordo, è che non mi chiesero neanche un documento. Era forse bastata la mia faccia così ingenua?
Prima dotazione / Iniziative culturali / Gianni Rodari
E finalmente arrivò la prima dotazione seria di libri, l’anno dopo, il 1971. Mi si presentò nel seminterrato il dr. Attilio Carosi, direttore della biblioteca provinciale: 250 libri, per lo più di consultazione, già catalogati e inventariati. In donazione anche il registro d’inventario, un bel po’ di schede bibliografiche e di etichette da applicare sul dorso dei libri. Fu una festa. Finalmente il minimo che potesse avere una biblioteca per chiamarsi tale. In ogni caso, oltre che assistere i lettori, non è che in biblioteca ci fosse tanto da fare, sicché presi a inventarmi conferenze, incontri, spettacoli, le cosiddette iniziative culturali che allora rendevano famosi gli assessori di ogni città d’Italia. Avvisavo i cittadini con delle locandine dove, in calce, c’era scritto “Il bibliotecario”. Oggi non si potrebbe più fare: guai se l'impiegato informa i cittadini o si permette di fare il creativo!
Scrissi una lettera a Gianni Rodari per un incontro con i ragazzi. Non ci speravo e invece mi rispose e riuscimmo a fissare una data. La sala del consiglio comunale dove si tenne l’incontro era stracolma. Ad ascoltarlo c’erano bambini e insegnanti e gente venuta da fuori. Rodari sarebbe ritornato qualche anno dopo, nella seconda sede della biblioteca, quella che oggi è la sala Pablo Neruda. Furono due eventi memorabili. Lo andai a trovare anche a Roma, a casa sua. Un’ora di conversazione in una stanza con tutti i suoi libri tradotti in tutte le lingue del mondo, perfino in alfabeto Braille. Mi regalò anche un long playing (disco 33 giri di allora) con le sue filastrocche messe in musica dal Quartetto Cetra. Sulla copertina del disco la sua dedica.
Scrissi una lettera a Gianni Rodari per un incontro con i ragazzi. Non ci speravo e invece mi rispose e riuscimmo a fissare una data. La sala del consiglio comunale dove si tenne l’incontro era stracolma. Ad ascoltarlo c’erano bambini e insegnanti e gente venuta da fuori. Rodari sarebbe ritornato qualche anno dopo, nella seconda sede della biblioteca, quella che oggi è la sala Pablo Neruda. Furono due eventi memorabili. Lo andai a trovare anche a Roma, a casa sua. Un’ora di conversazione in una stanza con tutti i suoi libri tradotti in tutte le lingue del mondo, perfino in alfabeto Braille. Mi regalò anche un long playing (disco 33 giri di allora) con le sue filastrocche messe in musica dal Quartetto Cetra. Sulla copertina del disco la sua dedica.
Bibliotecario a 20 mila
Io non stavo nella pelle. Non mi limitavo più a 9 ore la settimana, ormai aprivo la biblioteca tutti i giorni, mi piaceva, sempre a 20 mila il mese, che non mi bastavano neppure per telefonare a Stella, la mia ragazza che stava a 700 chilometri di distanza. E studiavo e partecipavo a quei concorsi (ci si presentava in 100 mila) per imbucarmi in qualche Ministero, ma non vincevo mai. Ero disperato, non potevo pesare sui miei, anche se continuavo a dare una mano nei duri lavori della campagna, ma avevo bisogno di un lavoro vero che mi rendesse autonomo. Ma sono contento di non averlo trovato il lavoro altrove: era destino che avrei dovuto fare il bibliotecario e, se tornassi indietro, rifarei tutto come prima, perché io ho dato tutto me stesso alla biblioteca, ma è anche vero che la biblioteca mi ha dato tanto.
Primi corsi di formazione
Fu a novembre del 1971 che si svolse a Bolsena il primo corso di formazione per i bibliotecari della provincia di Viterbo. Era un corso residenziale di una settimana. C’erano il direttore Attilio Carosi, la mitica soprintendente alle biblioteche del Lazio Maria Sciascia, con la Camerino (una bella donna, al ricordo) e la Mariani , altre due funzionarie della Regione che sono state importanti per la nostra formazione e la nascita delle biblioteche nella provincia. In un contesto collegiale e familiare al tempo stesso, apprendemmo i primi rudimenti della catalogazione e della classificazione. C’era anche a quel corso l’attuale presidente del Consorzio delle biblioteche Romualdo Luzi , ma nessuno di voi altri che mi state qui davanti: si vede che mi sono proprio fatto vecchio, grazie anzi per l'appellativo di decano di cui mi fate onore, per così dire, da un po' di tempo.
Tornato in biblioteca, diedi una svolta al mio lavoro. Ero munito anche di un breve manuale di classificazione del Dewey. Il consiglio (per semplificare, e trattandosi di piccole biblioteche) era quello di usare soltanto i primi tre numeri nella classificazione, senza andare nei dettagli. Metodo che non avrei più potuto seguire con il successivo aumento dei volumi che avvenne grazie agli stanziamenti del Comune, ma soprattutto grazie ai contributi della Regione. Ma, ahimé, erano i tempi in cui non era obbligatorio per i Comuni rendicontare, sicché spesso molti di quei contributi venivano destinati ad altri scopi, e vane erano le mie proteste che facevano dire sempre al sindaco: “E io con che cosa pago il tuo stipendio?”.
Tornato in biblioteca, diedi una svolta al mio lavoro. Ero munito anche di un breve manuale di classificazione del Dewey. Il consiglio (per semplificare, e trattandosi di piccole biblioteche) era quello di usare soltanto i primi tre numeri nella classificazione, senza andare nei dettagli. Metodo che non avrei più potuto seguire con il successivo aumento dei volumi che avvenne grazie agli stanziamenti del Comune, ma soprattutto grazie ai contributi della Regione. Ma, ahimé, erano i tempi in cui non era obbligatorio per i Comuni rendicontare, sicché spesso molti di quei contributi venivano destinati ad altri scopi, e vane erano le mie proteste che facevano dire sempre al sindaco: “E io con che cosa pago il tuo stipendio?”.
Sezione Ragazzi
Fu mia cura creare subito una sezione per i ragazzi. A Civita Castellana, a quel tempo, non c’era neanche una cartolibreria, sicché avvenne un corri corri in biblioteca quando arrivarono i primi libri di racconti e di fiabe. A scuola poi era il tempo della scoperta delle famigerate “ricerche”. A quel tempo non solo non c’era internet, ma anche la fotocopiatrice era di là da venire. Sicché tanti bambini erano costretti (si fa per dire) a leggere e a riassumere, cosa che oggi è del tutto scomparsa. I ragazzi mi consideravano come un dottor-sa-tutto, oltre che il “padrone” della biblioteca, ed erano sempre lì intorno a farmi domande, a chiedermi spiegazioni e consigli. Un ruolo che non mi ero prefigurato nella vita, ma che in fondo mi piaceva, perché trovavo che i ragazzi si stupivano sempre per quello che loro raccontavo. E io mi sentivo gratificato.
Sezione Locale
Ma anche la Sezione Locale fu oggetto dei miei pensieri. A Civita Castellana, quando è nata la biblioteca, non c’era un documento, dico uno, sulla città. Un paese così grosso, privo oltretutto di un archivio storico, aveva smarrito la sua memoria storica. Raccogliere documenti sparsi qua e là per ricostruirla quella memoria, lo considerai un dovere come bibliotecario. Oggi, dopo 34 anni, su Civita Castellana ci sono almeno 700 documenti. Ma la sezione non riguarda solo Civita Castellana, ma tutta la provincia di Viterbo, e anche, in misura minore, le altre province del Lazio. In tutto la sezione vanta 3.000 documenti. Solo che man mano che aumentavano i volumi nella sezione, mi si pose il problema di come collocarli. Trovavo che tutti i libri che avessero a che fare con un paese, pur se di argomenti diversi, dovessero stare tutti insieme, stabilendo magari un ordine all’interno dello stesso paese. Fu così che mi inventai una collocazione per la sezione locale che in qualche modo si muoveva sulle tracce della classificazione del Dewey. So che altri bibliotecari della provincia l’hanno adottata, anche se poi conta il metodo, perché ogni bibliotecario la può ridurre alle esigenze della propria biblioteca.
Posto in organico
Fu nel 1975 che fu messo il posto in organico. Facevo il militare a Trento, dove avevo a che fare con bombe a mano, cannoni e mitragliatrici, quando fui chiamato a Civita Castellana per sostenere il concorso interno. Finalmente diventavo un bibliotecario a tutti gli effetti, ma non vi nascondo che il mio primo stipendio lo spesi per comprare un pianoforte usato e una chitarra Giannini, che, malgrado gli anni e le ferite, resta ancora un pezzo della mia carne, il prolungamento del mio braccio.
Collettivo della Biblioteca
La biblioteca, nel frattempo, traslocava in una terza sede: un appartamento con tante stanze che era stato di un maresciallo dei carabinieri. Era angusto sì, ma almeno potevo collocare in modo più razionale il patrimonio documentale.
Ma fu proprio in quell’anno che, accanto al normale funzionamento, si verificò un fenomeno irripetibile. Decine di giovani rivendicavano spazi per incontrarsi a dipingere, fare musica, teatro, discutere, capire le trasformazioni della società e del mondo. Trovavano che, per questo, la biblioteca fosse il posto più adatto, sicché, al di fuori dell’orario di apertura, mi toccava tenere la biblioteca aperta per loro. Ricordo discussioni a non finire, esperti che venivano chiamati per formare, ragazzi che abbellivano di murales il brutto cortile interno della biblioteca, altri che facevano prove di teatro, altri che suonavano. Per me, ormai, non c’era orario, anche perché io, oltre a “padrone di casa” ero uno di loro, e li divertivo con le mie canzoni strane che avevo appreso a Milano dove, da buon meridionale, emigrai a 19 anni dopo la maturità per fare prima il muratore e poi il metalmeccanico alla Pirelli. Era il cabaret di Dario Fo, di Iannacci e dei Gufi, le canzoni di protesta di quegli anni, quelle dei primi cantautori quali Luigi Tenco, Gino Paoli, Fabrizio De Andrè, autori che cantavano l’amore con sincerità e poesia e interpretavano il mondo senza avere “le casette piccoline in Canadà… con tanti fiori di Lillà”. De Andrè arrivava a dire perfino che “non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio” o “aspettava il ritorno di un soldato vivo / di un eroe morto che ne farà?” e Tenco : “Io vorrei essere là / per dire a quei soldati / chi mai coltiverà domani il loro campo?” Oppure: “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare / il giorno mi pento d’averti incontrata / la notte ti vengo a cercare”.
Questi ragazzi però, che prima erano stati visti come manna dal cielo da parte dei maggiorenti del paese, ad un certo punto cominciarono a dare fastidio: parlavano liberamente, chiedevano, scrivevano, invocavano la cultura come modo di vita, di essere, credevano che le istituzioni dovessero garantire loro spazi e contributi, ma soprattutto questi ragazzi non erano inquadrati e, pur ciascuno con le proprie idee, non si piegavano a fare i galoppini di nessun partito. Così, il collettivo di 40 ragazzi, che per quasi due anni aveva portato a Civita Castellana una ventata di novità, venne sciolto e anche la biblioteca ne pagò le conseguenze. Io fui estromesso dal comitato di gestione della biblioteca (unico bibliotecario in Italia, credo) e per alcuni anni l’Amministrazione ridusse i contributi per libri e giornali. Insomma caddi in disgrazia perché avevo “dato troppo spazio” ai giovani, e soprattutto perché avevo impedito che la biblioteca diventasse una sezione di partito come i maggiorenti avrebbero voluto. Avevo ed ho le mie idee, ma ho sempre creduto che ogni cittadino, chiunque fosse o idea professasse, entrando in biblioteca la sentisse come sua. Avrei cambiato mestiere altrimenti.
Ma fu proprio in quell’anno che, accanto al normale funzionamento, si verificò un fenomeno irripetibile. Decine di giovani rivendicavano spazi per incontrarsi a dipingere, fare musica, teatro, discutere, capire le trasformazioni della società e del mondo. Trovavano che, per questo, la biblioteca fosse il posto più adatto, sicché, al di fuori dell’orario di apertura, mi toccava tenere la biblioteca aperta per loro. Ricordo discussioni a non finire, esperti che venivano chiamati per formare, ragazzi che abbellivano di murales il brutto cortile interno della biblioteca, altri che facevano prove di teatro, altri che suonavano. Per me, ormai, non c’era orario, anche perché io, oltre a “padrone di casa” ero uno di loro, e li divertivo con le mie canzoni strane che avevo appreso a Milano dove, da buon meridionale, emigrai a 19 anni dopo la maturità per fare prima il muratore e poi il metalmeccanico alla Pirelli. Era il cabaret di Dario Fo, di Iannacci e dei Gufi, le canzoni di protesta di quegli anni, quelle dei primi cantautori quali Luigi Tenco, Gino Paoli, Fabrizio De Andrè, autori che cantavano l’amore con sincerità e poesia e interpretavano il mondo senza avere “le casette piccoline in Canadà… con tanti fiori di Lillà”. De Andrè arrivava a dire perfino che “non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio” o “aspettava il ritorno di un soldato vivo / di un eroe morto che ne farà?” e Tenco : “Io vorrei essere là / per dire a quei soldati / chi mai coltiverà domani il loro campo?” Oppure: “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare / il giorno mi pento d’averti incontrata / la notte ti vengo a cercare”.
Questi ragazzi però, che prima erano stati visti come manna dal cielo da parte dei maggiorenti del paese, ad un certo punto cominciarono a dare fastidio: parlavano liberamente, chiedevano, scrivevano, invocavano la cultura come modo di vita, di essere, credevano che le istituzioni dovessero garantire loro spazi e contributi, ma soprattutto questi ragazzi non erano inquadrati e, pur ciascuno con le proprie idee, non si piegavano a fare i galoppini di nessun partito. Così, il collettivo di 40 ragazzi, che per quasi due anni aveva portato a Civita Castellana una ventata di novità, venne sciolto e anche la biblioteca ne pagò le conseguenze. Io fui estromesso dal comitato di gestione della biblioteca (unico bibliotecario in Italia, credo) e per alcuni anni l’Amministrazione ridusse i contributi per libri e giornali. Insomma caddi in disgrazia perché avevo “dato troppo spazio” ai giovani, e soprattutto perché avevo impedito che la biblioteca diventasse una sezione di partito come i maggiorenti avrebbero voluto. Avevo ed ho le mie idee, ma ho sempre creduto che ogni cittadino, chiunque fosse o idea professasse, entrando in biblioteca la sentisse come sua. Avrei cambiato mestiere altrimenti.
Mestiere delicato
E’ che, fare il bibliotecario, non è come fare l’impiegato dell’anagrafe. E’ un mestiere delicato il nostro, perché col nostro lavoro, volenti o nolenti, incidiamo sulla formazione delle coscienze. A volte, anzi, un libro, un’informazione, possono cambiare la vita di una persona. D’altra parte la biblioteca non riveste mai carattere d’urgenza e il bibliotecario chiede sempre beni di non immediata utilità e che soprattutto non hanno un ritorno in termini di consenso elettorale. Questo spiega perché da che mondo e mondo, tra governo locale e bibliotecario ci sono sempre state scintille. Vi siete mai chiesti perché, in vista delle elezioni, gli amministratori si danno sempre da fare per risistemare strade e lampioni, edifici e monumenti e mai che venisse loro in mente di arricchire il patrimonio della biblioteca? In quest’ultimo caso, come si dice, non ci sarebbe visibilità.
L’Informatore Civitonico/ La Biblioteca di Alice
Agli inizi degli anni ‘80, visto che il periodico cittadino L’Informatore Civitonico languiva, il nuovo assessore alla cultura pensò bene di offrirmi la redazione del giornale. Insomma dovevo fare il giornale cittadino e farlo uscire ogni due mesi. Ne fui felice, anche perché approfittai per inserire all’interno una sottotestata, La Biblioteca di Alice: otto pagine con tutte le notizie sulla biblioteca e i suoi servizi; addirittura un gioco in cui si vincevano dei libri. Per me fu una bella palestra, anche perché, per la prima volta, venni dotato di un piccolo computer per scrivere gli articoli. Il sistema operativo era Dos, non c’era ancora Windows. Al periodico cambiai anche formato, nacquero speciali, inchieste, servizi, saggi che riflettevano il bisogno dei cittadini di sapere ed essere informati. Il giornale era gratuito e arrivava puntualmente in tutte le case: lo si aspettava. Era diventato così popolare, che gli amministratori mi perdonavano il fatto che non vi facevo comparire le loro foto; foto dei cittadini, invece, a iosa. Non era per dispetto, ma perché volevo dare l’idea che il giornale fosse di tutti e non solo di una parte politica. Non vi dico le ore, le notti e i giorni per far uscire il giornale, non potendo sottrarmi al lavoro in biblioteca. Volontario, insomma, ma mi piaceva e mi bastava. L’esperienza durò due anni, quando, nominato un nuovo assessore alla cultura, presi a ricevere veline e foto che avrei dovuto pubblicare in favore di questo e quello. Non ero più libero e pensai bene di rimettere il mandato: “Il giornale ve lo fate voi” dissi. Perciò caddi nuovamente in disgrazia, anche perché ero contrariato che lo stesso assessore avesse insediato il suo ufficio al piano di sopra della biblioteca occupando il telefono e ricevendo file di clientes ai quali dava appuntamento. Ogni giorno era un via vai, gente che apriva la porta della biblioteca e gridava: “Sta qui l’assessore?”. Fumava per giunta il nostro, fumava forte, tanto che s’erano impregnati di fumo libri e moquette. Denunciai la cosa in Regione e finalmente ottenni che l’usurpatore sloggiasse dalla biblioteca, pena la sospensione dei contributi regionali.
Vi porto questa testimonianza non per dirvi niente di speciale, ma solo per sottolineare quanto sia singolare il nostro lavoro quando è svolto con sincerità e passione.
Vi porto questa testimonianza non per dirvi niente di speciale, ma solo per sottolineare quanto sia singolare il nostro lavoro quando è svolto con sincerità e passione.
La nuova sede della biblioteca
Intanto, grazie ai contributi della Regione, il vecchio mercato coperto veniva ristrutturato per farlo diventare la nuova biblioteca comunale. Una struttura molto bella all’interno, colorata, con scaffali tutti in legno. Aveva dei difetti, però: i nuovi arredi potevano contenere non più di 4 mila volumi a fronte dei 12 mila che riempivano già la vecchia sede; e non era stato previsto neppure un archivio. Semplicemente il progettista non s’era degnato neanche di consultarmi sul posseduto e le necessità della biblioteca. Ma non mi scomposi più di tanto. Prima dell’inaugurazione, di notte, non visto, trafugavo dalla vecchia sede, con la mia malconcia Renault, i vecchi e robusti scaffali di metallo color grigio e li trasportavo in quella nuova collocandoli in quell’area vuota che, a detta dell’architetto, doveva servire per mostre di pittura. Fu così che tutti i 12 mila libri trovarono posto, ma il giorno dell’inaugurazione non mi misi molto in vista, per via degli strali lanciati da tutti contro il bibliotecario che aveva, per così dire, deturpato con quei grigi scaffali l’arredamento della biblioteca.
Nella nuova sede, la biblioteca, in ogni caso, conobbe un boom di iscritti e lettori mai visti prima. Sono trascorsi 16 anni dall’inaugurazione e continuo a stipare scaffali dappertutto, perfino nella sala delle conferenze.
Nella nuova sede, la biblioteca, in ogni caso, conobbe un boom di iscritti e lettori mai visti prima. Sono trascorsi 16 anni dall’inaugurazione e continuo a stipare scaffali dappertutto, perfino nella sala delle conferenze.
ISIS/CDS : il primo catalogo elettronico
E arrivò ISIS/CDS, il programma di catalogazione dell’Unesco. Il sistema di catalogazione di tutte le biblioteche era ancora quello di sempre: foglio di lavoro, posa della scheda nella macchina da scrivere, battere tre schede principali, quella di soggetto, di rinvio, richiamo ecc. Come da decenni. Ma ecco affacciarsi il nuovo programma e la Regione ci teneva che almeno i bibliotecari delle biblioteche principali del Lazio partecipassero ai corsi di formazione. Si trattava di creare uno schedario elettronico al posto di quello cartaceo, si trattava soprattutto di imparare un programma fatto di infiniti campi e sottocampi ognuno dei quali doveva essere preceduto dai codici di Boole (^a ^b ^c ^d e via discorrendo). Per me che ero completamente digiuno di informatica, si trattava di qualcosa di molto complicato, anche se erano iniziati i miei primi tentativi di videoscrittura con Windows x 2. Il primo corso di formazione lo tenni a Firenze, altri a Viterbo. In biblioteca c’erano 15 mila titoli (oggi, al netto dello scarto inventariale, siamo a 32 mila circa).
Iniziava così il lavoro di catalogazione elettronica in Isis e, nello stesso tempo, l’inserimento delle schede pregresse. Quest’ultimo lavoro fu facilitato dal fatto che la biblioteca venne chiusa per l’installazione dell’impianto di aria condizionata, così ho trascorso tutto il tempo della chiusura (era il 1994) a inserire schede in linea con la mia collega Marianna Tumeo, la quale, dapprima refrattaria a queste fatiche d’informatica, ha finito poi per prenderci la mano diventando un’ottima collaboratrice. Con 15 mila schede in linea accantonammo il catalogo cartaceo, costringendo anche gli utenti a prendere confidenza con il nuovo catalogo.
Iniziava così il lavoro di catalogazione elettronica in Isis e, nello stesso tempo, l’inserimento delle schede pregresse. Quest’ultimo lavoro fu facilitato dal fatto che la biblioteca venne chiusa per l’installazione dell’impianto di aria condizionata, così ho trascorso tutto il tempo della chiusura (era il 1994) a inserire schede in linea con la mia collega Marianna Tumeo, la quale, dapprima refrattaria a queste fatiche d’informatica, ha finito poi per prenderci la mano diventando un’ottima collaboratrice. Con 15 mila schede in linea accantonammo il catalogo cartaceo, costringendo anche gli utenti a prendere confidenza con il nuovo catalogo.
Vicende aria condizionata
Non avevamo fatto i conti con l’oste, però. Sulla delibera per l’aria condizionata c’era scritto che i lavori non dovevano durare più di nove mesi, e invece, trascorso un anno, i lavori erano ancora a zero. Gli utenti protestavano dal sindaco, ma venivano trattati a pesci in faccia. Io e Marianna ci guardammo in faccia e decidemmo un colpo di mano: apriamo la biblioteca! che vengano i carabinieri!
Tirammo fuori tutti i libri inscatolati, li riponemmo sugli scaffali, pulimmo per bene e, voilà, la biblioteca è aperta! Potete immaginare il direttore dei lavori quando vide la biblioteca aperta: “Ma non potete, ci sono ancora i lavori in corso, sono responsabile!”. E noi duro. Eravamo disposti a tutto, anche alle denunce. E anche il sindaco fece finta di niente, neanche a telefonarci per dirci: Ma chi vi ha dato il permesso di aprire la biblioteca?
E per fortuna quel colpo di mano! Altrimenti la biblioteca sarebbe stata chiusa per quattro anni ancora, quanto durarono i lavori per l’aria condizionata che si svolgevano anche nelle ore di apertura con grande disagio per noi e per i lettori.
Questo per dirvi come nel nostro lavoro a volte si vengono a creare situazioni così assurde che, disubbidire, per dirla alla don Milani, diventa una virtù.
E disubbidii anche quando denunciai pubblicamente l’ufficio tecnico che, non avendo presentato un progetto in tempo utile per ottenere dei contributi dalla Regione, fece perdere alla biblioteca 150 milioni di lire per lavori di ristrutturazione. Avevo rivelato segreti d’ufficio, c’era scritto nella censura che mi fu recapitata dal messo comunale. Ammettiamo pure di non avere agito bene formalmente, ma almeno censurate anche l’ufficio tecnico! No, quello no!
Tirammo fuori tutti i libri inscatolati, li riponemmo sugli scaffali, pulimmo per bene e, voilà, la biblioteca è aperta! Potete immaginare il direttore dei lavori quando vide la biblioteca aperta: “Ma non potete, ci sono ancora i lavori in corso, sono responsabile!”. E noi duro. Eravamo disposti a tutto, anche alle denunce. E anche il sindaco fece finta di niente, neanche a telefonarci per dirci: Ma chi vi ha dato il permesso di aprire la biblioteca?
E per fortuna quel colpo di mano! Altrimenti la biblioteca sarebbe stata chiusa per quattro anni ancora, quanto durarono i lavori per l’aria condizionata che si svolgevano anche nelle ore di apertura con grande disagio per noi e per i lettori.
Questo per dirvi come nel nostro lavoro a volte si vengono a creare situazioni così assurde che, disubbidire, per dirla alla don Milani, diventa una virtù.
E disubbidii anche quando denunciai pubblicamente l’ufficio tecnico che, non avendo presentato un progetto in tempo utile per ottenere dei contributi dalla Regione, fece perdere alla biblioteca 150 milioni di lire per lavori di ristrutturazione. Avevo rivelato segreti d’ufficio, c’era scritto nella censura che mi fu recapitata dal messo comunale. Ammettiamo pure di non avere agito bene formalmente, ma almeno censurate anche l’ufficio tecnico! No, quello no!
Ma nel 1994 iniziava un’altra avventura per la biblioteca, quella della casa editrice. Ebbene, la biblioteca è anche una casa editrice con tanto di ISBN, e i nostri volumi sono in vendita anche sul catalogo dei libri in commercio, o nel catalogo virtuale http://www.internetbookshop/, dove, digitando Civita Castellana in “Ricerca Completa”, nel campo Editore, appaiono i nostri libri. Si tratta di libri di argomento locale curati da studiosi di prestigio, anche ricercatori del Cnr. A me il compito di correggere le bozze, impaginare e portare il libro in tipografia già bell’è fatto. E’ uscito un libro l’anno fino al 2000, poi non abbiamo avuto più fondi e l’avventura è finita. Ma quest’anno, finalmente, abbiamo ottenuto di pubblicare un altro volume. Si tratta della “Storia di Civita Castellana” di Oronte Del Frate, scritta ai primi del ‘900, di cui conserviamo in biblioteca copia del manoscritto. Se foste interessati a ottenere il codice ISBN per eventuali pubblicazioni delle vostre biblioteche, potete rivolgervi alla Bibliografica editrice di Milano.
Sevizio Bibliotecario Nazionale e programma Sebina
Credevamo, con Isis, di aver raggiunto i vertici del catalogo elettronico, ma col tempo si rivelò quasi un lavoro sprecato, perché Isis, non comunicava con l’esterno, non entrava in rete, non entrava in Iccu, il Catalogo Unico delle biblioteche italiane che aderiscono a Sbn, cioè il Servizio Bibliotecario Nazionale. Occorreva ripensare a un nuovo programma di catalogazione diretta e partecipata, un nuovo programma nel quale riversare di nuovo tutti i records che avevamo creato con Isis. Quindi punto e da capo: l’inizio di altri corsi di formazione all’Università di Roma e qui a Viterbo. Il programma SQL era farraginoso, non entrava in testa a me e neanche a tanti altri. Forse non se ne poteva più di rimboccarsi le maniche un’altra volta. Ma anche qui, nessuno di noi si poteva tirare più indietro, non si poteva rinunciare a stare al passo con i tempi. E’ stata dura, ma alla fine io, ed altri come me, abbiamo capito che non c’era altra strada e, a conti fatti, sono contento che sia andata così, perché, col nuovo programma Sebina, si cataloga più in fretta e fa piacere sapere che quello che cataloghi è visibile in tutto il mondo. Non manca giorno, infatti, che biblioteche e utenti di ogni parte d’Italia non ci chiedano libri in prestito, per lo più via e-mail. Talvolta si tratta di libri rari, preziosi; capita di ascoltare dall’altra parte del telefono grida di gioia quando taluno si accerta che il libro esiste veramente. E poi, si sa, quando nell’Opac si va a cercare un libro e lo stesso è posseduto da biblioteche maggiori e minori, chissà perché ci si rivolge quasi sempre a quest’ultime, cioè le nostre biblioteche: sicuramente perché facciamo prima a spedire senza tanti contorcimenti burocratici, né abbiamo ancora appaltato il prestito o le fotocopie a qualche cooperativa. Ci sono studenti romani che vengono apposta a Civita Castellana per consultare volumi che magari stanno alla Nazionale, dove per accedervi e ottenere un servizio è impresa titanica.
Nuovi servizi in Biblioteca
Di pari passo a quest’evoluzione della catalogazione elettronica, si sono anche diversificati i servizi in biblioteca. Sono nate le postazioni per internet e l’accesso alle banche dati, sicché non si vive di soli libri, periodici, videocassette e cd rom, ma anche di informazioni aggiornate che ci chiedono studenti, professionisti, gente in cerca di lavoro, immigrati che trovano contatti con la madrepatria, per non dire persone con malattie particolari che cercano medici e ospedali speciali per curarsi. Certo, il libro, i giornali stanno sempre lì come tentazione e non è raro che chi viene in biblioteca per servirsi delle banche dati, non curiosi poi tra gli scaffali in cerca di un libro.
Parametri di qualità “troppo alti”
E’ successo anche, qualche anno fa, che un giornalista di una testata locale sia entrato in biblioteca e abbia notato con meraviglia i nuovi servizi. Il giorno dopo la biblioteca aveva un posto d’onore sul quotidiano: se ne esaltavano i servizi e il funzionamento. Solo che tutto ciò veniva contrapposto alla arretratezza in fatto di informatica degli altri uffici del Comune, e così, accusato di aver rilasciato un’intervista (cosa non vera), venivo per l’ennesima volta censurato, la qual cosa scatenava un putiferio in consiglio comunale.
Questo conferma come il nostro mestiere di bibliotecari, che pure non siamo immuni da difetti e presunzioni a volte, è sempre sotto osservazione e può perfino succedere che, dandoci da fare, rischiamo di mettere in ombra altri uffici che non hanno raggiunto i parametri di qualità che noi invece abbiamo inseguito con passione. Se ne dovrebbero fare un vanto i nostri amministratori, e invece son sempre lì a misurare che cosa gliene viene in termini di consenso, questa bestia che, come l’audience, sta facendo scivolare verso il basso, qualitativamente, la vita culturale del nostro paese.
Questo conferma come il nostro mestiere di bibliotecari, che pure non siamo immuni da difetti e presunzioni a volte, è sempre sotto osservazione e può perfino succedere che, dandoci da fare, rischiamo di mettere in ombra altri uffici che non hanno raggiunto i parametri di qualità che noi invece abbiamo inseguito con passione. Se ne dovrebbero fare un vanto i nostri amministratori, e invece son sempre lì a misurare che cosa gliene viene in termini di consenso, questa bestia che, come l’audience, sta facendo scivolare verso il basso, qualitativamente, la vita culturale del nostro paese.
Beffa qualifica
Proprio alcuni mesi fa, dopo un’attesa di 34 anni, sono passato in D1, dopo un’estate trascorsa su leggi e diritto amministrativo. Ma il destino mi ha riserbato l’ennesima beffa: con questo passaggio mi è stata tolta la qualifica di bibliotecario per quella più consona (si fa per dire) di istruttore direttivo, che ricorda tanto l’istruttore per l’esame di guida. Vane sono state le mie proteste, dal momento che mi manca qualche anno alla pensione, in nome del motto: voglio morire bibliotecario. Non so se può consolarmi che l’AIB, l’Associazione Italiana Biblioteche, alcuni anni fa mi ha dato la patente di bibliotecario per meriti vari sul campo, iscrivendomi all’Albo professionale. Ma quel che più mi consola è smarrirmi nelle pagine dei libri che scrivo e che non troverete mai impilati in una libreria a mo’ di bestsellers, ma solo nel cuore e nella memoria di pochi affezionati. Ma ne basterebbe anche uno solo di lettore: sarebbe come stare a teatro, o in un concerto di fronte a un solo spettatore. E per uno, uno solo, vi assicuro, vale la pena di scrivere e cantare, perché quell’uno potrà essere il tuo lumicino nel bosco dove t’attendono case di cioccolato e ninfe e fate assetate di parole e d’amore.
L’esperienza di tanti anni con i ragazzi
E ora, dulcis in fundo, voglio parlarvi della mia esperienza con i ragazzi delle scuole che svolgo da anni, esperienza che forse mi dispiacerà lasciare il giorno che andrò in pensione. Ho avuto la sorte di nascere in un piccolo paese del sud dove non c’era ancora la luce elettrica, un piccolo paradiso terrestre ancora intatto fatto di notti scure, di candele e lampade a petrolio, di giorni chiari e luminosi nella calura implacabile del sole mediterraneo. Ho fatto in tempo a immagazzinare nella mia mente fiumi di nanni orchi, sciacuddhi e acchiature, anime in pena e morti ca te carànfanu, pìzziche e tarantate, ritmi e tamburieddhi, storie tragiche e comiche, zaccarresta e scundarieddhi, truddhi e cavaddhu barone, scisciarìculi e scarabòmbuli, rape creste e zzanguni, fae nette e gnumarieddhi… e lu vinu ca te trase intra ll’osse. Tutto un mondo magico e incantato che mi chiedo a volte se sia mai veramente esistito. Sono partito che ero un ragazzo e navigo da allora in mille perigli per tornare al paese, la mia Itaca che non c’è più.
Il quel contesto in cui c’era solo la tradizione orale, ma non c’erano libri, ho ereditato l’arte del raccontare e del cantare, e mi piace rinnovare con i ragazzi i rapporti che avevo avuto con i miei nonni e con i miei genitori. Da tanti anni intere scolaresche, delle elementari soprattutto, ma anche più grandi, mi arrivano in biblioteca non solo per capirne il funzionamento e diventare potenziali lettori, ma anche per celebrare il rito della trasmissione orale e scritta. Passo dalla lettura ad alta voce di fiabe e racconti, poesie e filastrocche, al cantare accompagnandomi con la chitarra. E ritorno a quelle filastrocche di Gianni Rodari messe in musica dal Quartetto Cetra. Ne ho imparate alcune, ma ho preso altre di filastrocche e le ho messe in musica io stesso ricucendomi così un repertorio di canzoni per bambini. Per questo sono chiamato anche altrove: a gennaio ho fatto un concerto ai bambini perfino a San Giovanni in Persiceto, nei pressi di Bologna e mi sono guadagnato due cartoni di cabernet-sauvignon.
Devo dire che i bambini mi danno tante soddisfazioni quando parlo o canto, perché son lì curiosi e guardano e ascoltano incantati.
Per i ragazzi più grandi riservo anche Dante o Leopardi o Neruda, essendo convinto che la poesia non è quella scritta, ma è quella detta, quella che ne esalta il ritmo e le assonanze e penetra e meraviglia e sconvolge, e travolge e salva la vita.
Il quel contesto in cui c’era solo la tradizione orale, ma non c’erano libri, ho ereditato l’arte del raccontare e del cantare, e mi piace rinnovare con i ragazzi i rapporti che avevo avuto con i miei nonni e con i miei genitori. Da tanti anni intere scolaresche, delle elementari soprattutto, ma anche più grandi, mi arrivano in biblioteca non solo per capirne il funzionamento e diventare potenziali lettori, ma anche per celebrare il rito della trasmissione orale e scritta. Passo dalla lettura ad alta voce di fiabe e racconti, poesie e filastrocche, al cantare accompagnandomi con la chitarra. E ritorno a quelle filastrocche di Gianni Rodari messe in musica dal Quartetto Cetra. Ne ho imparate alcune, ma ho preso altre di filastrocche e le ho messe in musica io stesso ricucendomi così un repertorio di canzoni per bambini. Per questo sono chiamato anche altrove: a gennaio ho fatto un concerto ai bambini perfino a San Giovanni in Persiceto, nei pressi di Bologna e mi sono guadagnato due cartoni di cabernet-sauvignon.
Devo dire che i bambini mi danno tante soddisfazioni quando parlo o canto, perché son lì curiosi e guardano e ascoltano incantati.
Per i ragazzi più grandi riservo anche Dante o Leopardi o Neruda, essendo convinto che la poesia non è quella scritta, ma è quella detta, quella che ne esalta il ritmo e le assonanze e penetra e meraviglia e sconvolge, e travolge e salva la vita.
[*] OPAC è l'acronimo di «Online Public Access Catalogue» (Accesso Pubblico al Catalogo Online) ed è quindi il catalogo informatizzato delle biblioteche.
Nessun commento:
Posta un commento